LA NADEF 2021: DATI MIGLIORI DEL PREVISTO GRAZIE ALL’UE, PER I GIOVANI POSSIAMO FARE DI PIÚ
Mercoledí scorso alla Camera abbiamo approvato la ‘Nadef 2021’ ovvero la ‘Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza’, l’analisi del quadro economico e le stime per il triennio 2022-2024. Finora non ho avuto tempo di condividere con voi alcune riflessioni, lo faccio ora (post lungo, sorry).
In breve, la NADEF presenta un forte e netto miglioramento degli indicatori economici e della finanza pubblica, sia in assoluto, sia se comparati ai dati del DEF 2021 (il DEF è pubblicato intorno ad Aprile, la NADEF a Ottobre dello stesso anno): si prevede per il 2021 una crescita reale del PIL del 6% (nel DEF di Aprile ci si attendeva il 4,5%) e del 4,7% nel 2022. A questa velocità la nostra economia tornerà ai livelli precrisi nel 2024 e insieme al PIL anche il tasso di disoccupazione dovrebbe migliorare dal 9.6% previsto per il 2021 (era al 9.3% nel 2020) al 7.7% nel 2024.
Il PIL cresce più del previsto, mentre il deficit cresce molto meno del previsto (nel 2021 sarà del 9.4% invece di 11.8% come previsto ad aprile) con un netto miglioramento del saldo primario: grazie a queste dinamiche il rapporto debito/PIL sorprendemente non solo si stabilizza ma scende già a partire da quest’anno (dal 155,6% del 2020 al 153,5% nel 2021) mentre nel DEF di soli 6 mesi fa ci si aspettava un aumento fino al 159,8% sempre quest’anno!
La politica economica del governo rimarrà espansiva fino a quando la nostra economia non sarà tornata ai livelli precrisi nel 2024, dopodiché sarà necessario concentrarsi sulla riduzione del rapporto debito/PIL per ritornare al livello precrisi del 134% entro il 2030. I dati inoltre mostrano una ripresa vigorosa del nostro export nel 2021, in proporzione l’aumento più alto tra i paesi europei, che il recente deprezzamento dell’Euro potrebbe sostenere oltre nei mesi a venire.
Si tratta secondo me di una politica di bilancio opportuna, i piani del rientro del deficit sono allentati di 1-1.5% in confronto al quadro tendenziale (quello che avverrebbe in assenza di interventi di politica economica) fino al 2024, uno stimolo fiscale che è giusto investire per sostenere la ripresa dopo la peggiore recessione del dopoguerra.
Noto però con un pizzico di amarezza che negli obbiettivi di politica economica del governo esplicitati nella NADEF fino al 2024 – rifinanziamento del fondo di garanzia per le PMI, il superbonus per le ristrutturazioni edilizie, investimenti innovativi, implementazione dell’assegno unico, riduzione del carico fiscale all’interno della riforma fiscale, maggiori finanziamenti per il servizio sanitario nazionale, riforma degli ammortizzatori sociali – che dovrebbero comportare un aumento del PIL di 9bn nel 2022, 15bn nel 2023 e 20bn nel 2024 (dati che traggo dalla differenza tra quadro programmatico e tendenziale nel documento, valori nominali non reali), manca uno strumento ad hoc per contrastare la crisi giovanile, come era stato invece richiesto dal Parlamento con specifici atti di indirizzo.
Si, è vero che tra i vari decreti collegati annunciati dalla NADEF ritroviamo un provvedimento per l’emancipazione e l’autonomia giovanile, ma il fatto che non venga elaborato nel documento e nemmeno nell’introduzione del Ministro – che invece esplicita gli altri obbiettivi che ho enumerato - ho paura indichi che non sarà una misura strategica su cui verranno allocate risorse importanti come quelle citate e ancora una vota temo di riscontrare la solita forte sottovalutazione da parte delle istituzioni di quella che è forse la più grave crisi del nostro paese, assieme al divario nord-sud e alla bassa occupazione femminile. Una sottovalutazione che abbiamo riscontrato durante la definzione del Recovery Plan che va nel senso contrario a quello intrapreso da altri paesi europei che sul tema hanno investito subito miliardi.
Tra gli allegati alla NADEF segnalo anche un prezioso rapporto sulle attività di contrasto all’evasione fiscale. Che rimane nel nostro paese paurosamente alta, ma la buona notizia è che negli anni continua a scendere, da 109 miliardi a 103 miliardi nel 2019. Un risultato frutto del miglioramento della tax compliance grazie alla Fatturazione Elettronica obbligatoria voluta dal governo Renzi (questo lo dice il MEF, non il politburo di Italia Viva). Anche la proporzione di economia informale scende, stimata nel 2019 intorno al 11%.
Non dimentichiamo che questo quadro positivo è una funzione del sostegno monetario della BCE ed economico dell’UE attraverso il Next Generation EU, misure che permettono ai nostri interessi passivi di diminuire mentre il nostro debito aumenta, misure che creano spazio fiscale per la ripresa. Se avessimo avuto la lira a quest’ora lo stato sarebbe già fallito. Questa volta l’Unione ha imparato dai propri errori rispondendo con una risposta economica vigorosa come quella del NGEU e del Recovery Fund, per evitare appunto i problemi creati dall’austerità prematura imposta ad alcuni paesi membri dopo l’ultima crisi finanziaria. Ricordiamolo alle varie sirene nazionaliste e sovraniste. Una volta che la nostra economia sarà risanata, sarà importante mettere i conti pubblici in ordine per affrontare con credibilità il negoziato sulle nuove regole fiscali europee di cui ha bisogno l’eurozona.
Infine, le forti e improvvise spinte inflazionistiche di questi ultimi tempi, speriamo passeggere, ci dicono che la nostra economia è troppo vulnerabile al prezzo del gas, soprattutto quello russo. Investiamo di più sull’energia rinnvabile, non solo per essere meno dipendenti da Mosca ma anche per rispettare Kyoto e la Cop21 (se vogliamo rispettare gli impegni dobbiamo comunque arrivare al 100% di rinnovabili entro il 2035).
Ci sono comunque vari rischi: 1) nuove ondate o nuove varianti della pandemia che potrebbero comportare nuove chiusure, 2) un aumento protratto dei prezzi dell’energia e e delle materie prime, spinte inflazionistiche che potrebbero ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori e mettere a repentaglio la ripresa (purtroppo si tratta spesso di problemi sul lato dell’offerta – come la penuria di microchips, il prezzo del gas e del petrolio - sui quali la politica monetaria puó fare poco, se non con misure considerevoli che metterebbero comunque a repentaglio la ripresa economica), 3) una riduzione prematura della politica monetaria accomodante delle banche centrali, il che farebbe lievitare gli interessi passivi del nostro debito pubblico.