Si al Governo Draghi, il nostro Churchill. Nel momento peggiore, l’Italia merita la squadra migliore
Mario Draghi, una riserva della Repubblica per far fronte alla crisi
Da un mese l’Italia ha un nuovo governo guidato da Mario Draghi, l’uomo che salvò l’Euro e l’economia europea grazie alle misure straordinarie messe in atto dalla Banca Centrale Europea che dirigeva. Un uomo di cui la competenza indiscussa e il prestigio internazionale rappresentano per il nostro paese un punto di forza e una fonte preziosa di credibilità in un momento drammatico come quello che stiamo attraversando. Nutro piena fiducia in Mario Draghi. Prima della politica lavoravo nel settore finanziario e per 7 anni, dal 2011 al 2018, ogni primo giovedì del mese seguivo per un’ora le sue conferenze stampa. Ha gestito con equilibrio e coraggio una crisi che rischiava di affossare la moneta unica e con essa il progetto europeo. Gli errori commessi sia dai suoi predecessori che successori, da Trichet che alza i tassi nel 2011 in piena crisi finanziaria alla gaffe della Lagarde per la quale ‘il compito della BCE non è quello di comprimere gli spread’ del Gennaio 2020, indicano quanto fosse difficile e per nulla scontato quel ruolo.
L’Italia sta attraversando la sua peggiore recessione del dopoguerra ed è stata per settimane uno dei paesi al mondo con il più alto numero di morti per abitante di Covid19. Nel 2020, malgrado il blocco dei licenziamenti, sono stati bruciati oltre 700 mila posti di lavoro, per la maggior parte dei casi donne. I giovani inattivi, i famosi NEET, sono aumentati del 10% solo in un anno, passando da 2milioni a 2,2milioni. Ragazze e ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non stanno né studiando né lavorando. L’ISTAT e la Caritas ci dicono che gli italiani in povertà assoluta sono aumentati di quasi un milione nel 2020 e sono oggi 5,6 milioni. La FIPE, l’associazione degli esercenti pubblici, stima che il 30% dei 350 mila ristoranti, bar e pizzerie del nostro paese potrebbero non riaprire. Il debito pubblico è schizzato di 20 punti percentuali in un solo anno, dal 134% al 155%, in un paese che già oggi spende più soldi per ripagare gli interessi sul debito che in istruzione e ricerca. Last but not least, la gigantesca perdita educativa e culturale per intere generazioni di bambini e ragazzi costretti alla didattica a distanza da tanti mesi (quando va bene) o addirittura un anno intero per gli studenti campani e pugliesi (!).
Un governo migliore
Nel 1867 il giornalista britannico Walter Bagehot attribuiva al Parlamento cinque funzioni essenziali. Contrariamente a quello che si potrebbe credere, la prima funzione non è legiferare ma quella di scegliere il governo migliore per il paese. Compito dei parlamentari eletti dal popolo è quello di identificare un gruppo di persone a cui dare la fiducia per la gestione esecutiva della macchina pubblica. Nei mesi scorsi assieme ad altri colleghi ci siamo chiesti: ma questo è il migliore dei governi possibili? No, non lo era.
Sicuramente a un certo punto lo era stato. Lo era stato nell’estate del 2019 per evitare di mandare a Palazzo Chigi i Trump in salsa italiana, Salvini & Meloni. Lo era stato quando ha introdotto il Family Act e l’assegno unico universale per i figli a carico proposto da Italia Viva. Lo era stato quando ha ridotto il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti e introdotto il superbonus del 110% per le ristrutturazioni edilizie. Lo era stato quando aveva corretto gli scellerati decreti sicurezza (anche se con un imperdonabile anno di ritardo). Lo era stato soprattutto nel negoziato in Europa sul Next Generation EU, un grande risultato ottenuto soprattutto grazie alla mischia PD Gualtieri-Amendola-Sassoli con Gentiloni nel ruolo di mediano.
Poi tanti, troppi, errori. Nel 2020 il Governo Conte ha gradualmente perso la propria spinta propulsiva. Decisioni rinviate, ritardi ed errori imperdonabili nell’allocazione dei sostegni economici (vedi l’erogazione della CIG da parte dell’INPS o l’uso dei codici Ateco che hanno escluso interi settori) e nella gestione della pandemia (scandali dell’era Arcuri, il flop dell’app Immuni, l’assenza di un piano vaccinale). Una esposizione mediatica bulimica, a un certo punto è sembrato che apparire fosse più importante che fare. Un comportamento forse tollerabile in tempi di pace ma del tutto deplorevole in tempi di pandemia. Un Recovery Plan illeggibile, partorito tardi, bocciato persino dalla Banca d’Italia e dalla Corte dei Conti, e tenuto per mesi all’oscuro dei partiti e del Parlamento, la cui governance veniva accentrata a Chigi e subappaltata a una task force esterna, in controtendenza a tutti i maggiori paesi europei che l’avevano affidata alle strutture ministeriali economiche, le uniche all’altezza di una sfida cosi imponente. L’imperdonabile approssimazione con la quale il governo Conte stava gestendo il Recovery Plan, un’occasione che il nostro paese semplicemente non può permettersi di sprecare, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso costringendoci ad intraprendere iniziative immediate per aggiustare la rotta della nave Italia.
Prendendo atto della grave crisi in corso e del fatto che il governo precedente non era il migliore dei governi possibili era giusto agire e creare i presupposti per un cambio di paradigma. Essere responsabili significa che se le cose vanno male non solo è giusto ma è doveroso cambiare la squadra. Lo abbiamo fatto nel 1917 dopo Caporetto, sostituendo Cadorna con Diaz, nel 1970 durante la ‘partita del secolo’ Italia-Germania sostituendo Roberto Rosato con Gianni Rivera. Lo stesso vale per i governi, come ha fatto la Francia pochi mesi fa quando, in piena pandemia, sostituì il primo ministro Philippe con Castex o come ha fatto il Regno Unito quando preferì Churchill a Chamberlain nel 1940, in piena seconda guerra mondiale. Mario Draghi è il nostro Churchill, nel suo momento peggiore l’Italia merita la squadra migliore.
L’agenda Draghi
È stato un passaggio molto complesso ma che rivendico. Il programma del governo Draghi presentato in Parlamento è un’agenda riformista che corrisponde pienamente ai miei valori e alle mie idee, un’agenda che mette al centro l’equità intergenerazionale, l’europeismo, la crescita inclusiva e lo sviluppo sostenibile.
Nel suo discorso a Rimini l’estate scorsa Mario Draghi ammoniva che ‘il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre. Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza.’ (qualsiasi riferimento a misure come Quota 100 è del tutto casuale). All’Italia serve un governo europeista, credibile e competente per gestire i fondi del Next Generation EU, attuare la campagna vaccinale e avviare le riforme strutturali che invochiamo da anni. Mario Draghi è la persona con le maggior probabilità di successo. Ha già salvato l’Euro, adesso tocca a lui guidare l’Italia fuori dalla crisi e dare un futuro ai giovani italiani. Per queste ragioni ho risposto all’appello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ho votato con convinzione la fiducia al governo Draghi lo scorso 18 Febbraio.
Draghi sarà come Monti? E allora il MES?
Sia Draghi che Monti sono economisti, ma le similitudini finiscono qui. Il compito del governo Monti era di ristorare la credibilità del nostro paese dilapidata dai governi Berlusconi applicando dure misure di austerità, il governo Draghi deve invece gestire un programma di investimenti più grande del piano Marshall. Per nostra fortuna non siamo nel 1974, nel 1992 o nel 2011: grazie a l’Unione Europea, alla BCE e al NGEU, non abbiamo problemi immediati di finanziamento. Le risorse per evitare che questa crisi economico-sanitaria si trasformi in una tragedia sociale sulla carta ci sono, vanno però gestite con intelligenza.
Sono inoltre venute meno molte delle ragioni per attivare il MES: nell’ultima bozza del Recovery Plan del 12 Gennaio Italia Viva è riuscita a ottenere il raddoppiamento dei fondi per la sanità pubblica da 9 a 18 miliardi di euro (e, per inciso, anche quelli per l’occupazione giovanile) ma soprattutto l’arrivo di Draghi ha fatto crollare lo spread, diminuendo considerevolmente i potenziali risparmi di spesa per il nostro debito pubblico che l’attivazione del MES avrebbe comportato.
De iure un governo di unità nazionale
Dopo l’inspiegabile arroccamento della precedente maggioranza sull’identico schema perdente, il Parlamento non aveva altra scelta che rimettere tutto nelle mani del Capo dello Stato. In questo frangente il Presidente Mattarella ha chiesto alle forze politiche di creare un governo ‘non riconducibile a nessuna formula politica’ per fare essenzialmente due cose: condurre la campagna vaccinale per sconfiggere il virus Covid19 e gestire il PNRR.
Per questo motivo non credo che sia un problema la partecipazione al governo della Lega. La cosa certamente non mi entusiasma, vengo da una storia di sinistra liberale e di sicuro non dimentico la politica dei porti chiusi e Quota 100, ma il governo Draghi è un governo di unità nazionale di cui fanno parte quasi tutte le forze politiche per raggiungere pochi obbiettivi circoscritti.
La decisione della Lega di aderire mi ha stupito in un primo momento, ma se questo implica spegnere nel Po le torce del sovranismo populista si tratta di una evoluzione positiva per il paese. Vedremo poi se si tratta di una conversione duratura, francamente ne dubito.
Ci sono ministri della Lega e di Forza Italia al governo? Si, ma in ruoli ben più marginali che quelli della squadra di Draghi, del PD, di Leu e comunque in numero ben inferiore al numero di ministri M5S nel governo Conte II (allora il 50%). E francamente se oggi abbiamo Cartabia invece di Bonafede, Cingolani invece di Costa, Colao invece della Pisano, ce ne possiamo solo rallegrare.
De facto un governo riformista?
In verità il passaggio da Conte a Draghi rafforza non solo il profilo europeista ma anche il profilo riformista del governo italiano. Mentre il primo nel 2018 guidava il governo gialloverde e rivendicava con orgoglio di essere populista - salvo poi fare dietrofront senza colpo ferire nel 2019 e corteggiare in Parlamento le forze ‘europeiste, liberali e socialista’ alla ricerca dei famigerati responsabili nel 2021- il secondo con il suo whatever it takes ha fatto all in pur di salvare l’Euro e l’Italia dalla bancarotta. Una questione di stile direi. Mentre il primo elargiva mance, giustizialismo demagogico e pensioni anticipate, il secondo incarna il merito e la competenza, due concetti progressisti per definizione come osserva Claudio Martelli (‘o anche il merito, la cultura e la competenza sono diventati concetti di destra?’).
Inoltre Draghi si è definito in passato un ‘liberalsocialista’ riallacciandosi cosi a quella importante cultura politica inaugurata nel nostro paese da pensatori come Carlo Rosselli e Guido Calogero, che nel mondo ha ispirato in seguito leader come Tony Blair, Gerard Schroeder, Matteo Renzi per non parlare di Barack Obama e Joe Biden. Anche le parole hanno il loro peso.
Si, ne valeva la pena
Già in questo primo mese del governo Draghi sono state prese tante decisioni positive che fanno ben sperare. Innanzitutto la cosa più importante: il Recovery Plan verrà corretto e la governance del Recovery Fund è stata assegnata al MEF, l’unica struttura adatta alla sfida che risponde direttamente al Governo e al Parlamento. È stato adottato un serio piano vaccinale che produce oggi 170 mila inoculazioni al giorno, che salirà a 500 mila nelle prossime settimane in modo da arrivare all’immunità di gregge entro Settembre. È stato definitivamente accantonato l’uso dei codici Ateco a favore di un principio meno arbitrario per la distribuzione dei sostegni economici a imprese, professionisti e partite IVA. Come autorità delegata per i servizi di intelligence è stato nominato un servitore dello stato come Franco Gabrielli. Ai Bonafede, Costa, Arcuri, Casalino subentrano persone del calibro della Cartabia, Cingolani, il Gen. Figliuolo, Ferdinando Giugliano. Si, ne valeva la pena.
Le conseguenze politiche: sovranisti e populisti divisi
Si tratta di un passaggio chiave della politica italiana, un passaggio reso possibile dalla lungimiranza di Matteo Renzi che è riuscito in questo modo a spaccare sia i populisti che i sovranisti, generando importanti conseguenze politiche per tutto il sistema. La destra si era inizialmente divisa in tre pezzi tra il si a Draghi di Forza Italia, il no della Meloni e il forse della Lega poi diventato si, costringendo Salvini a una clamorosa virata che va contro la sua storia e molti suoi elettori. Anche il Movimento 5 Stelle si spacca sia tra gli iscritti che nei gruppi parlamentari con la fuoruscita di Dibattista e l’ala più euroscettica. L’indebolimento del fronte populista e del fronte sovranista nel nostro paese è un altro sviluppo positivo della crisi di governo, uno sviluppo di cui rallegrarsi e da perseguire con ogni mezzo politico e parlamentare.
Le prospettive politiche: organizzare il campo riformista
Questi ultimi anni hanno rivelato i due assi della geografia politica italiana: Europa si/Europa no, riformisti/populisti. Io credo che oggi esista in Parlamento e nel paese un’area riformista, europeista, progressista, liberale che va dal Partito Democratico fino a +Europa e Azione passando per Italia Viva. Spero che con il governo Draghi si inauguri una nuova stagione di alleanze e aggregazione delle forze presenti in quest’area in modo da costruire una vera alternativa al populismo del M5S, al nazional-sovranismo della Meloni e al Papeete-sovranismo di Salvini. Le dimissioni improvvise di Nicola Zingaretti e il programma del neo-segretario del PD Enrico Letta potrebbero rappresentare una novità molto positiva su questo fronte, qualora venisse confermata da parte del PD l’intenzione di non perseguire un’alleanza strutturale con il M5S e prediligere invece la costruzione di una casa comune dei riformisti. Sul punto invito gli amici del PD a riflettere e a prendere atto che la linea politica di Zingaretti e di Bettini ha fallito e che un’alleanza strutturale con il M5S rischia di trasformarsi in un abbraccio mortale, non solo in termini meramente numerici o elettorali ma politici. Populismo e riformismo sono come l’acqua e l’olio, non si mescolano. Il profilo e la storia di Enrico Letta su questo punto invece fanno ben sperare.
Ma adesso è il momento dell’unità nazionale per vincere la pandemia e superare le tante crisi che ha provocato. Nei prossimi mesi sarà fondamentale sostenere con forza il governo Draghi per permettergli di portare a compimento la missione affidatagli dal Presidente Mattarella.