Elaborare nuove tutele per i lavoratori dell'economia collaborativa

L’era digitale ha favorito l’emergere in rete di piattaforme commerciali che stanno velocemente rivoluzionando interi settori economici: è la cosiddetta  ‘economia collaborativa’. ‘L’economia collaborativa’, o sharing economy, promuove il pieno sfruttamento delle risorse sottoutilizzate e le aziende coinvolte sono di solito delle piattaforme abilitatrici che non possiedono i beni, ma semplicemente fungono da intermediari tra i clienti-utenti e i fornitori. Il modello si basa sulla collaborazione tra le diverse parti in causa e offre a entrambi piena flessibilità non solo sulla domanda ma anche sull’offerta.

La sharing economy è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni, soprattutto nel settore della grande distribuzione (Ebay, Craiglist e anche Kijiji, Etsy) nel settore dei trasporti (Uber, Lyft, Blablacar), nel settore turistico e della ristorazione (AirBnB, VRBO, Deliveroo), nel settore dei servizi su domanda (Taskrabbit, Mechanical Turk).

Grazie alla tecnologia digitale, l’economia collaborativa ha ‘creativamente’ reso accessibili al mercato e alla società risorse fino ad allora sottoutilizzate: dai posti vuoti in macchina, alle stanze sfitte, ai risparmi dimenticati in banca, fino ai vari oggetti accumulati in soffitta.

L’avvento della sharing economy, tuttavia, non sempre ha trovato un quadro normativo adeguato, sia a livello italiano che europeo. Regole stabilite venti o trent’anni fa non sono adatte a una economia in così rapida evoluzione.

In primo luogo, non ci può essere un approccio standardizzato alla sharing economy: ogni singolo settore dovrebbe avere le sue regole, dall’autotrasporto di persone che dovrebbe essere reso più competitivo e aperto in tutta Europa, all’home sharing, una pratica che nella maggior parte dei casi viene praticata occasionalmente da cittadini che non possono sostenere i vincoli burocratici di una normale impresa.

La seconda considerazione riguarda i rapporti di lavoro e le tutele sociali. Le piattaforme sostengono che i fornitori siano dei micro-imprenditori e quindi lavoratori autonomi, mentre i fornitori in alcuni casi denunciano una situazione di ‘monocommittenza’: i fornitori micro-imprenditori dipendono totalmente dalle piattaforme per trovare nuova domanda e quindi si trovano nel paradosso di essere legalmente indipendenti ma economicamente dipendenti. Il rischio è quello che rapporti di lavoro stabili e subordinati siano mascherati come rapporti di lavoro occasionale o autonomo (un vecchio problema, analogo al caso delle finte partite IVA, dell’uso abusivo dei vouchers o dei contratti a zero ore nel Regno Unito). In questa circostanza  non basta applicare le norme o inventarne di nuove per limitare gli abusi, occorre una nuova definizione di cosa significa lavoro subordinato nel contesto dell’economia collaborativa e  di stabilire quali sono i criteri minimi per usufruire di diritti come il salario minimo, le ferie retribuite, le norme di sicurezza sul lavoro, le norme per gli straordinari, il divieto di discriminazione.

L’introduzione di nuove regole più restrittive rischia di ostacolare gli effetti positivi della sharing economy. Non dimentichiamo che l’economia collaborativa ha creato nuove fonti di introito per milioni di persone, con il vantaggio di essere un sistema flessibile conciliabile con altre occupazioni. Il grafico che segue illustra che le ore settimanali lavorate dagli autisti di Uber sono in media ben inferiori a quelle lavorate dai tassisti tradizionali. Possiamo quindi dedurre che per la maggior parte degli autisti Uber questa non sia la loro attività principale per il loro sostentamento, una tendenza riscontrabile anche in molte altre piattaforme.

 

Hours per Week worked by Uber drivers vs traditional 

Detto questo, l’economia collaborativa sta diventando la fonte di sostentamento principale per sempre più persone, specialmente giovani, e lo sarà sempre di più negli anni a venire. L’Unione Europea dovrebbe promuovere l’armonizzazione non solo delle regole ma anche delle tutele, promuovendo una comune definizione di lavoro subordinato dato che la frammentazione andrebbe a scapito della concorrenza e dei lavoratori. Se nei contenziosi emersi tra i partecipanti dell’economia collaborativa viene dimostrata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, è imperativo applicare i diritti minimi di quella categoria. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di favorire la concorrenza tra le piattaforme: se una piattaforma offre migliori tutele, nel tempo i fornitori convergeranno su di essa, lasciando le altre piattaforme che offrono tutele meno idonee con un’offerta inferiore e quindi penalizzandola. Si potrebbe anche stabilire una soglia – di ore lavorate o di fatturato prodotto - sotto la quale la prestazione costituisce lavoro occasionale, se al di sopra lavoro subordinato e quindi sottoposto alle tutele sociali appropriate (se per esempio un fornitore lavora più di 15 ore alla settimana una parte dell’utile che versa alla piattaforma dovrà essere dirottato su un fondo di sicurezza sociale della categoria).