A COSA CI SERVE LA COP26
A Glasgow è cominciata ieri la COP26, la conferenza internazionale sul clima presieduta congiuntamente dal Regno Unito e dall’Italia. L’obbiettivo è chiaro, è quello di arrivare a un accordo globale più ambizioso di Parigi per ridurre le emissioni clima-alteranti e in questo modo contrastare il riscaldamento climatico.
Ormai è accertato da vari studi, da ultimo uno studio importante dell’IPCC, che le attività umane non solo contribuiscono ma sono la causa principale del cambiamento climatico in atto le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, dalla desertificazione del Sahel, agli uragani del Texas, al dissesto idrogeologico in Italia.
Secondo l’IPCC, per fermare questo processo è fondamentale limitare il riscaldamento del globo ad un massimo di 1,5 gradi centigradi dai livelli pre-industriali. Per rispettare questo limite è necessario dimezzare l’attuale emissione di C02 nell’atmosfera entro il 2030, ovvero passare dalle attuali 50 giga-tonnellate di C02 prodotte annualmente a 25 giga-tonnellate nel 2030 e 10 nel 2050. Gli impegni assunti dai diversi paesi del mondo dalla Cop21 di Parigi a oggi invece, nella migliore delle ipotesi, prevedono una riduzione di 5 GtC02 nel 2030 (quota 45 GtC02) e di 20 GtC02 nel 2050 (quota 30 GtC02). In poche parole, bisogna accelerare con urgenza il processo di riduzione delle emissioni altrimenti il processo di riscaldamento del pianeta diventerà irreversibile con conseguenze catastrofiche per l’umanità.
Che fare? Per decarbonizzare la nostra economia ci sono 5 linee direttrici da seguire:
1) Sviluppare tecnologie per decarbonizzare la produzione di energia elettrica e di settori ad alto impatto carbonico, come l’acciaio, il cemento, la chimica, l’aviazione; promuovere l’uso di fonti rinnovabili, eliminare i processi che usano carburanti fossili cominciando con la dismissione delle centrali a carbone
2) Elettrificare i trasporti, sviluppando veicoli elettrici, preferendo i treni ai veicoli a combustione di carburante fossile
3) Ridurre immediatamente le emissioni di metano, un gas clima-alterante molto potente, intervenendo sui processi di produzione energetica e agricola
4) Promuovere la riforestazione dei nostri territori
5) Promuovere l’efficientamento energetico degli edifici, vecchi e nuovi
L’UE e gli USA potranno intraprendere questa via con molta più facilità dei paesi in via di sviluppo che dipendono ancora molto dal carbone e dalla combustione di materie fossili. Sarà fondamentale per i paesi sviluppati contribuire a finanziare la transizione ecologica dei paesi meno sviluppati, una transizione che deve fare affidamento comunque su capitali privati e pubblici, non solo per un argomento di efficienza ma anche di equità dato che i paesi industrializzati si sono potuti sviluppare inquinando senza limiti per secoli a spese di tutto il globo.
La scienza ci sta dimostrando che è possibile tecnicamente invertire la rotta, ma ora tocca alla politica gestire il processo di transizione senza dimenticare le legittime richieste dei popoli in via di sviluppo di uscire dalla povertà e di aumentare le proprie condizioni di vita. Il multilateralismo sarà vitale per giungere a un accordo globale, soprattuto con paesi come la Cina e l’India, ma anche forme di accordo internazionale che provino ad internalizzare una esternalità negativa, come appunto le emissioni di C02, impedendo il proliferare di processi produttivi inquinanti, come appunto l’Unione Europea progetta di fare con l’introduzione della Carbon Border Adjustment Tax.