IL RITIRO DALL’AFGHANISTAN, LE MISSIONI MILITARI E LA SAIGON DEL NOSTRO TEMPO
A pochi mesi dal definitivo ritiro degli Stati Uniti e della NATO dall’Afghanistan, mentre molti osservatori declamano la sconfitta dell’occidente, continuo a pensare che l’operazione ‘Enduring Freedom’ in Afghanistan nel 2001 di supporto all’Alleanza del Nord del defunto comandante Massoud, da anni in lotta contro i Talebani, fosse necessaria. Necessaria per combattere il terrorismo islamista, per evitare nuovi 9/11.
Qualcosa poi chiaramente è andato storto. La determinazione degli Stati Uniti e dei paesi della NATO, tra cui l’Italia che ebbe un ruolo di primo piano nella gestione delle provincie occidentali a cominciare da Herat, portò a un coinvolgimento sempre piu intenso. Tra il 2003 e il 2005 il sostegno fin li prevalentemente aereo si trasformò in sostegno di terra, ‘boots on the ground’, un sostegno che crebbe negli anni fino a 140k truppe straniere operative e oltre un triliardo di dollari per la giovane repubblica afghana.
Come è stato possibile allora che i Talebani siano riusciti a vincere contro il piu grande esercito al mondo? La velocità con la quale i Talebani sono avanzati e l’armamento superiore dell’esercito afghano fa pensare al tradimento e alla corruzione dei vertici del governo, delle province e dell’esercito. Sicuramente il senso di abbandono dopo l’annuncio del ritiro non deve aver aiutato il morale delle truppe e della popolazione locale. Mi sembra evidente che l’accordo di Doha negoziato da Trump con i Talebani nel 2020 per un ritiro a data fissa sia stata una mossa terribile e irresponsabile, soprattutto per il mancato coinvolgimento della Repubblica Afghana, in quella che è stata in tutto e per tutto una pace separata. Mi sorprende però che Biden abbia voluto tenere fede a quell’accordo, anche se in realtà capisco benissimo il desiderio e l’esigenza politica di ritirarsi dopo 20 anni di guerra e 3k morti. Anzi, forse il fatto che gli Afghani non abbiano resistito contro l’avanzata dei Talebani conferma che il ritiro era l’unica via possibile: se non si battono loro per il nostro paese, perché dovremmo farlo noi? Allora il ritiro forse andava fatto prima?
In realtà la missione non è stata inutile. Per 20 anni ISIS, Al-Quaida, Al-Nusra e jihaidisti vari non hanno potuto beneficiare di una base di addestramento o del sostegno dell’Afghanistan. Per 20 anni gli afghani hanno potuto sperimentare la democrazia, le donne afghane hanno potuto studiare. È vero, questo ora è perduto, ma la storia delle democrazie non è mai lineare. Ce ne rallegriamo, ma questo non era l’obbiettivo, che era invece il contrasto di formazioni jihadiste terroristiche. Se come occidente pensiamo di dover intervenire militarmente per imporre la democrazia in ogni paese del mondo la pace diventerebbe un miraggio.
Senza scomodare Tommaso D’Aquino, gli interventi militari internazionali devono essere difensivi e avere obbiettivi militari chiari, devono risparmiare sempre in ogni modo la popolazione locale. Sono legittimi per contrastare minacce imminenti, come quella del terrorismo, dell’invasione straniera, o del genocidio, ma non per altro. Per questo è stato sbagliato e folle intervenire in Iraq nel 2003, mentre fu folle non intervenire in Ruanda o a Srebenica nel 1994. Ma in Afghanistan nel 2001, dopo l’attentato dell Torri Gemelle, l’intervento era ragionevole. Costituisce l’Afghanistan la stessa minaccia oggi per l’Occidente? Difficile a dirsi, chiaramente per Washington non è cosí e in questo caso è legittimo e giusto il ritiro.
Il problema è che il ritiro è stato condotto male, senza fasi e condizioni e questa mancanza di strategia ha portato alla catastrofe sotto i nostri occhi e a quelle scene drammatiche che non dimenticheremo mai di giovani afghani che si aggrappano alle ruote degli aerei USA in decollo o alle madri che mosse dalla disperazione gettano oltre il muro i loro figli neonati. Perfino la presa di Saigon in Vietnam impiegó molto più tempo che la presa di Kabul. Una debacle militare, politica e umanitaria che deve farci riflettere sugli interventi militari in futuro e sull’importanza di creare rapporti di fiducia e di partnership con i nostri alleati locali.
Un pensiero ai nostri 54 militari morti in Afghanistan, perché il loro sacrificio non è stato vano, a tutte le vittime di terrorismo e a tutti gli afghani che sognano il loro paese libero e prospero.
Qui il Link della mia interrogazione parlamentare sull'Afghanistan