L’approvazione all’unanimità della relazione conclusiva della Commissione Regeni costituisce un segnale politico importante per l’Egitto di Al-Sisi. Dopo due anni di lavoro appare evidente che le responsabilità politiche e materiali del rapimento, della tortura e dell’assassinio di Giulio Regeni ricadano esclusivamente sugli apparati di sicurezza egiziani.
Risultano invece prive di fondamento tutte le ipotesi di coinvolgimento diretto o indiretto di altri stati o di altri soggetti in questa triste vicenda. Le istituzioni britanniche, inclusa l’Università di Cambridge, hanno offerto piena e leale collaborazione per la ricerca di verità e giustizia, come appurato da una missione della Commissione nel Regno Unito.
Il governo italiano ha agito con fermezza, soprattutto nei primi mesi, ottenendo alcuni risultati tangibili, seppur parziali, che hanno permesso alla Procura di Roma di ricostruire una parte della vicenda, anche grazie al grande lavoro dei reparti investigativi italiani e della Farnesina che si è attivata immediatamente e con solerzia. Una intransigenza purtroppo non sempre adottata dai governi successivi, specie da quello giallo-verde che nel 2018 ha proceduto a una semi-normalizzazione dei rapporti con le missioni dei Ministro Salvini e Di Maio e la ripresa della vendita di sistemi d’arma.
Il caso Regeni rimane una ferita aperta per l’Italia intera, per sostenere la ricerca di verità e giustizia il governo italiano deve aprire una controversia internazionale contro l’Egitto di Al- Sisi presso la Corte internazionale di giustizia in virtù dell’articolo 30 della Convenzione internazionale contro la Tortura del 1984 a cui hanno aderito sia l’Italia che l’Egitto.
Lo dobbiamo ai genitori di Giulio, ai ricercatori italiani che portano alto il nome dell'Italia nel mondo e alle tante persone torturate, imprigionate e assassinate ogni giorno in Egitto.