Nell’Unione Europea ci sono circa 4,5 milioni di stagisti. Il 59% non sono retribuiti e il 40% non ha un contratto. Nel nostro paese gli stages non retribuiti o con rimborsi spese irrisori dilagano, a cominciare dagli ambienti professionali come gli studi legali, gli studi di architettura, di ragioneria fino alle funzioni più prestigiose della pubblica amministrazione, come nel caso dei miseri 400 euro dei tirocini della CRUI al Ministero degli Affari Esteri.
Gli stages non retribuiti sono dei veri e propri veicoli di conservazione sociale in quanto solo le classi più abbienti possono permettere ai propri figli di fare esperienze lavorative non retribuite mentre altri giovani che non hanno alle spalle redditi robusti non possono accumulare quella esperienza professionale necessaria per ottenere un contratto di lavoro. Inoltre, per molti giovani in Italia e in Europa la transizione scuola-lavoro avviene tramite stages che troppo spesso sono usati dalle aziende per ottenere forza lavoro gratuitamente, o a buon mercato, mentre gli stages dovrebbero innanzitutto svolgere una funzione formativa (solo uno stage su tre sembra averla, secondo certe stime di Interns Go Pro). Lo stage non è una forma di volontariato ma un’esperienza pratica che facilita l’ingresso al mondo del lavoro dopo la formazione. Dato che gli stagisti spesso e volentieri contribuiscono ai ricavi dell’azienda, essi dovrebbero essere considerati come dei lavoratori e ottenere un’indennità pari al loro contributo.
In Italia lo stage è una forma di precariato che permette alle imprese di deresponsabilizzarsi. Nemmeno i sindacati se ne curano, rendendo gli stagisti uno dei gruppi di lavoratori più emarginati. Bisogna partire dalle norme; le varie direttive regionali sui tirocini extracurriculari, approvate negli ultimi anni, vanno nella giusta direzione: esse impongono un’indennità minima (come riportato nella cartina sopra), stabiliscono una durata massima, reiterano la funzione puramente formativa degli stages e impongono che gli stagisti siano opportunamente monitorati da un mentore. Purtroppo in varie regioni l’indennità minima è del tutto insufficiente per permettere una vera emancipazione dei giovani dalle famiglie di origine mentre ci sono ancora delle regioni che non hanno approvato nessuna norma sulla materia. Su questo punto, dato che la riforma della divisione delle competenze tra Stato e regioni è all’ordine del giorno, proponiamo di riportare la legislazione del lavoro come esclusiva competenza dello Stato, non solo come atto di semplificazione ma di equità: uno stagista a Cagliari deve godere degli stessi diritti che uno stagista a Torino.
Ma le leggi da sole non bastano. Per attuarle occorre innanzitutto una rivoluzione culturale per dare responsabilità i datori di lavoro. Bisogna introdurre dei meccanismi che premiano i datori di lavoro che offrono stage formativi e invece denunciare quelli che non lo fanno. In questo senso come PD Londra abbiamo sostenuto fortemente le iniziative della Repubblica degli Stagisti e di Interns Go Pro in prima linea nella lotta contro gli stages ‘selvaggi’ (non retribuiti o privi di contenuto formativo). Credo fermamente nel principio delle pari opportunità e della meritocrazia, ma soprattutto nella dignità del lavoro. Per questo motivo dichiaro guerra ad ogni forma di lavoro non retribuito, a cominciare dagli stages.
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