Quella del confine orientale è una pagina della storia nazionale ed europea ancora fortemente dibattuta sia perché molti di coloro che ne hanno subito le conseguenze sono ancora in vita sia per il vivo significato storico-politico che questa ha contrassegnato tutta la seconda metà del XX secolo. Delle atrocità, dell'epurazione etnica che colpì anche chi da italiano si unì o meno ai titini in nome di un'appartenenza politica si è scritto molto, spesso più per trovare colpe che per sanare ferite. L'Italia del Dopoguerra ebbe poi la colpa di chiudere gli occhi e non riconoscere la condizione degli istriani e i giuliano-dalmati con la stessa attenzione dei connazionali sfollati e in miseria ad esempio a Roma, Milano, Napoli. Oggi non si può e non si deve più dimenticare. Non per alimentare sterile risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro. Si tratta di una responsabilità verso le giovani generazioni che ci impone trasmettere a chi forse non sa che un tempo Pola, Fiume, Zara, Ragusa, Spalato erano effettivamente territorio italiano.
Da qui deve nascere l’impegno per favorire il processo di riaffermazione dei diritti delle minoranze italiane in Slovenia e Croazia, in base ai principi cui debbono attenersi tutti i Paesi membri dell'Unione Europea. A oltre cinquant'anni di distanza dall'inizio del progetto politico europeo, la consapevolezza delle buone ragioni che hanno spinto De Gasperi, Spinelli, Schuman, Adenauer, Spaak a pensare ad un unione di pace, solidarietà e sviluppo economico - oggi sempre più sostenibile - devono convincerci che questi elementi sono i pilastri cui poggia l'unica via per far sopravvivere il nostro Continente. Un’Europa più forte cancella odi e rancori e sconfigge il nazional-populismo che impoverisce socialmente ed economicamente tutti.