Il costo sociale della crisi si è manifestato soprattutto tra le giovani generazioni, in particolar modo nei Paesi della periferia dell’Eurozona, dove il tasso di NEET, ovvero i giovani che non stanno lavorando, non stanno studiando né si stanno formando, è esploso arrivando a livelli elevati, non soltanto se comparati ad altri Paesi membri ma anche con altri Paesi extra-UE (come indica il grafico sottostante). Occorre investire sulla formazione, l’istruzione e la mobilità giovanile. Solo attraverso nuove esperienze di studio e lavoro i giovani potranno emanciparsi dalle famiglie di origine diventando cittadini liberi e fautori del proprio destino.
Proporzione di NEET tra i 20-24enni, per genere (OECD, 2015)
L’Unione Europea in questo senso ha fatto molto, a cominciare dal programma Erasmus che ha permesso a milioni di giovani europei di studiare in altri Paesi Membri. Inoltre l’UE finanzia con miliardi di euro oltre 56 fondi diversi dedicati alle questioni giovanili spaziando dalla mobilità, al diritto allo studio, allo sport, all’educazione civica. In Europa esistono 12.320 diverse borse di studio, che stanziano complessivamente quasi 27 miliardi di euro. Purtroppo, a giudicare dai risultati, sembra che queste iniziative non abbiano ancora costituito una massa critica sufficiente per incidere sul destino di milioni di giovani. La responsabilità ovviamente ricade sui Paesi Membri, tra i quali osserviamo forti disparità in termini di investimenti sull’istruzione, anche se comparati con altri paesi sviluppati come vediamo qui:
Proporzione della spesa pubblica dedicata all’istruzione (OECD, 2005, 2008, 2013)
Ritengo che la questione giovanile sia la prima priorità sociale in Europa. Purtroppo non sembra esserlo per alcuni Paesi Membri, sia per assenza di volontà politica che per assenza di possibilità economica. È una priorità non soltanto per una questione di giustizia inter-generazionale – vari studi mostrano le difficoltà che i giovani NEET incontreranno nel corso della loro vita in confronto ai coetanei che sono riusciti a investire gli anni giovanili in esperienze di studio o lavorative – ma anche di senso civico. Il senso di malessere non potrà non esprimersi in uno sfogo contro le istituzioni, UE inclusa. Occorre lanciare una riflessione in Italia ma soprattutto a livello sovranazionale su come rilanciare una vera politica giovanile europea.
Si potrebbe cominciare con una ‘Maastricht Sociale’ in cui i Paesi membri che investono meno del 10% della propria spesa pubblica in istruzione e hanno un tasso di NEET superiore al 25% potranno essere sanzionati dalla Commissione. Una nuova versione di ‘vincolo esterno’ che potrebbe essere d’aiuto per invertire la piramide delle priorità dell’agenda nazionale di alcuni Paesi Membri.
Il programma Erasmus potrebbe essere esteso, sia nella copertura, in modo da includere anche i giovani imprenditori, allargando i programma ai giovani lavoratori, ma anche in profondità. Perché non lanciare un programma di borse di studio complete finanziato direttamente dalla Commissione Europea per giovani europei selezionati per merito? Avrebbe l’effetto di creare un legame tra gli studenti e l’UE ancora più forte di quello creato con l’Erasmus odierno.
Si dovrebbero creare anche dei fondi europei dedicati alla mobilità giovanile per aiutare i giovani a uscire di casa. Questi fondi potrebbero prendere la forma di mini prestiti d’onore ripagati a tasso zero negli anni o di affitti calmierati, come nel caso degli ‘affitti di emancipazione’ introdotti in Spagna e in alcuni comuni italiani. Si tratta di approntare un’offerta pubblica di appartamenti da dare in affitto a un prezzo ragionevole e per un tempo limitato ai giovani che cercano di uscire di casa, che vogliono sposarsi e non trovano casa, che si muovono dalla propria residenza per motivi di lavoro. Per permettere una vera emancipazione è fondamentale non calcolare nei fattori economici la disponibilità della famiglia di origine ma considerare i giovani come individui indipendenti per uscire da una concezione familistica delle politiche sociali. Molti giovani europei tardano a emanciparsi non per preferenze culturali diverse, ma a causa della situazione economica. Per l’Italia, il Rapporto Giovani 2017 mostra che oltre il 70% dei giovani italiani rimane in famiglia per mancanza di prospettive lavorative. Senza una forte mobilitazione politica e sociale si corre il rischio che i NEET negli anni si trasformino in NYNA (Not Young and Not Adult), ancora lontani dalla conquista di una piena autonomia dai propri genitori e di formazione di una propria famiglia con enormi ricadute sulla crescita. Un paese che spreca la vitalità dei propri trentenni non può crescere.